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Il marmo di Carrara (per i Romani
marmor lunensis, "marmo lunense") un tipo di
marmo, estratto dalle cave delle
Alpi Apuane in territorio di
Carrara, universalmente noto come uno dei marmi pi
pregiati.
Storia
del marmo di Carrara
Le
cave di marmo erano probabilmente gi utilizzate durante l'et
del rame dai primitivi abitanti della zona per produrre
utensili vari e oggetti decorativi e commemorativi da interrare
nei sarcofagi con i defunti.
Con i
Romani si svilupp l'attivit estrattiva vera e propria, e a
partire dall'epoca di
Giulio Cesare (48-44 a.C.) rifornisce di
blocchi di
marmo bianco le maggiori
costruzioni pubbliche di
Roma
e numerose dimore
patrizie. L'esportazione avviene tramite il porto di
Luni,
per cui veniva detto marmo lunense.
Dal
V secolo l'attivit
estrattiva subisce un periodo di stasi a seguito delle
invasioni barbariche. In seguito con la maggiore diffusione
del
Cristianesimo il marmo
viene richiesto in grandi quantit per l'edificazione di edifici
religiosi e per il loro arredo interno. La fervente attivit
delle cave si
deve soprattutto ai
Magistri cumacini, tra cui
Giovanni Pisano e
Nicola Pisano, che lo utilizzano per le loro opere nell'Italia
centrale. In seguito fu il
marmo utilizzato da
Michelangelo per le sue sculture e veniva a scegliere
personalmente i blocchi nelle
quali realizzare le proprie opere.
Nel XX secolo, molto uso si fece del
marmo di Carrara durante il
fascismo:
Mussolini don perfino del
marmo per una delle due moschee della Spianata del Tempio di
Gerusalemme.
Le cave
sono luoghi dove da molti secoli avviene l'escavazione e la
lavorazione del marmo e
possono essere di due tipi: chiuse e a cielo aperto. Per il modo
con il quale viene prelevato il
marmo, la profondit di prospettiva delle pareti bianche,
gli ampi spazi, la precisione simmetrica dei gradoni, i piani di
lavorazione sembrano gradinate di anfiteatri. L'estrazione
del marmo in
cava stato un continuo divenire di documenti vivi e
drammatici attraverso i secoli, dai primitivi cunei di legno, al
sistema della tagliata dei romani, al rivoluzionario
filo elicoidale, all'attuale filo diamantato, tanto
veloce quanto pericoloso, tra gli anfratti delle cave e i
candidi e scoscesi ravaneti sono conservati gli eroismi,
le fatiche, i sacrifici dei cavatori che con tenacia e capacit
continuano ancora oggi a demolire queste montagne tagliandole,
frantumandole e smontandole pezzo a pezzo, in piccoli blocchi
per poi inviarli nel mondo.
L'escavazione
del marmo nelle Alpi Apuane risale ad epoche assai remote (I
sec.a.c.) e ha subito nel secolo scorso profonde trasformazioni.
Anticamente l'escavazione
avveniva con metodi ed utensili molto semplici, e con gran
dispendio di tempo e lavoro per ottenere risultati modesti. Il
lavoro essenzialmente manuale, era svolto da una manodopera
costituita in gran parte da condannati a lavori di fatica,
schiavi e cristiani .I primi
cavatori sfruttavano le fratture naturali della roccia nelle
quali inserivano dei cunei di legno di fico che poi bagnavano
con acqua, la naturale dilatazione provocava il distacco del
masso. Per ottenere blocchi di dimensioni stabilite, i Romani
ricorsero alla tecnica della "formella", si praticava nel masso
prescelto, lungo la linea di taglio, una scanalatura profonda
15-20 cm. nella quale s inserivano poi dei cunei di ferro che,
percossi ripetutamente e a tempo, determinavano il distacco di
blocchi di 2 m. di spessore. Tali tecniche estrattive e quelle
di lavorazione, come la segatura manuale, rimasero pressoch
inalterate anche dopo la scoperta della polvere da sparo , il
cui impiego si rivel pi dannoso che utile,infatti il marmo
risultava spesso cos frantumato da perdere qualsiasi valore
commerciale. Solo in seguito con l'utilizzo delle mine con
l'operazione chiamata la
Varata ( evento che lasciava tutti i lavoratori con il fiato
sospeso) si pot distaccare una grande quantit di
marmo senza danneggiare il
prodotto stesso.
La vera e grande rivoluzione nella tecnica
estrattiva avvenne alla fine del
1800
con le invenzioni del filo elicoidale e della puleggia
penetrante. Il filo di acciaio un cavo di 4-6 mm. di diametro,
ottenuto dalla torsione ad elica di tre fili . Le scanalature
cos determinate hanno la funzione di trasportare e distribuire,
lungo il taglio eseguito dal cavo, l'acqua e la sabbia silicea,
originariamente proveniente da
Massaciuccoli, che servono all'azione abrasiva. Il filo
elicoidale, disposto in circuito su speciali pulegge di rinvio
fissate ad appositi paletti detti pot , lungo in
genere alcune centinaia di metri e si muove ad una velocit di
5-6 m/sec, mentre incide il marmo
ad un ritmo di 20 cm l'ora. La puleggia penetrante un disco
d'acciaio caratterizzato sulla circonferenza, da una scanalatura
e da piccoli denti diamantati. Mediante questi due geniali
accorgimenti tecnici la puleggia, scorrendo su un apposito
strumento a cremagliera chiamata macchinetta che ne
consente il regolare e continuo abbassamento, assolve
contemporaneamente a due funzioni: mentre penetra nel
marmo trascina nella
scanalatura il filo elicoidale che provoca il
taglio del blocco.
Prima di cominciare a tagliare a monte e
iniziare sul piazzale qualsiasi lavoro, bisognava liberare la
montagna da quella parte di
roccia resa inservibile dall'alterazione superficiale. Per
questo lavoro di agilit e perizia interveniva il Tecchiaiolo
il quale aveva il compito di esaminare da vicino il
marmo, liberandolo delle
parti pericolanti: per fare questo doveva calarsi, appeso ad una
fune, davanti al fronte di
cava. Il taglio
al monte consisteva nell isolare dal
corpo marmoreo che
costituisce il giacimento, una gigantesca porzione di
roccia, detta bancata, di
forma e dimensioni definite in funzione dei
blocchi che si vogliono
ottenere. Separata la bancata dalla massa rocciosa, i cavatori
procedevano al suo ribaltamento sul piazzale di
cava. Questa impressionante
operazione presentava notevoli difficolt e la sua esecuzione
comportava seri rischi. Sul piazzale, intanto, si preparava il
cosiddetto "letto" costituito da un cumulo di fini
detriti di marmo misti alla
fanghiglia prodotta da lavorazioni precedenti , per ammortizzare
la caduta della bancata e limitarne le rotture. Una volta sul
piazzale, la bancata veniva lavata per essere esaminata dai
cavatori pi esperti che ne individuano le impurit e segnavano
i punti dove effettuare eventuali tagli. L operazione successiva
era il ridimensionamento in
blocchi di dimensioni commerciali con la tagliatrice a filo
diamantato. Un operazione delicatissima: ogni errore, infatti,
rischiava di diminuire la resa dell intera bancata e produrre
blocchi di valore inferiore a quello che la qualit del marmo
faceva sperare. Poi entravano in scena i riquadratori, che a
suon di subbia e martello, cercavano di dare una forma quadrata
al blocco. Era un lavoro difficile, pesante, e quei cavatori
dovevano essere forti, pazienti e capaci.Infine venne introdotto il filo diamantato,
attualmente in uso, la cui introduzione inizialmente creo'
problemi di sicurezza lavorativa causa la facilita' di
sganciamento, problematica ora corretta.

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