Durante l'Epoca Romana e almeno fino al
1700 l'attività estrattiva era esclusivamente manuale. Per staccare
dal monte il marmo si faceva affidamento sulla sola forza delle
braccia degli operai poiché non esistevano macchinari che potessero
venire loro in aiuto: si usavano solo cunei di legno piantati
con la punta e il mazzuolo in fessure dove il
marmo era più cedevole.
In seguito i cunei di legno venivano
imbevuti d'acqua facendo sì che, con l'aumento del volume,
staccassero il marmo dal monte. Poi i cunei di legno vennero
sostituiti con cunei di ferro, sotto e sopra i quali
venivano inseriti dei lamierini di ferro che venivano battuti con
pesanti mazze per cui si otteneva la penetrazione e il successivo
distacco del marmo dal monte.
Verso il 1700 iniziarono le prime
escavazioni per mezzo dell'esplosivo (la polvere nera) che
veniva introdotto in fori prodotti nel
marmo con una verga con
punta a scalpello forgiata. Mentre un operatore teneva
questa verga a contatto con il punto da forare, altri operai vi
battevano con la mazza; ad ogni colpo la verga veniva ruotata di
pochi gradi in modo da favorire la penetrazione e scavare un foro
profondo che veniva riempito poi di polvere nera. Accendendo la
miccia avveniva lo scoppio che produceva il distacco del pezzo dal
monte.
Questa tecnica di abbattimento con
esplosivo era chiamata "varata" e pur permettendo di
abbattere grandi quantità di
roccia in tempi brevi, aveva il grosso
difetto di distruggere gran parte del
marmo escavabile e di produrre
una grande quantità di scarti
Una volta staccato dal monte il
pezzo di
marmo veniva portato con l'aiuto di palanchini nel piazzale
antistante per la riquadratura. Questa operazione consisteva
nell'eliminare con mazzuolo e punta le asperità dai lati del blocco
per renderlo di forma più adatta al trasporto e per evidenziarne la
qualità.
In seguito venne usata la sega a mano
che consisteva in una lamina dentata con alle estremità due
fasce che venivano appoggiate sulle spalle degli operai; essi,
facendo scorrere la lamina con movimento alternato su un lato del
blocco, con l'aiuto di acqua e sabbia silicea riquadravano il marmo
con minor fatica e più precisione.
Verso la fine dell'800 nelle cave di
Carrara e poi anche nelle cave di
portoro del nostro territorio, fu
introdotta una nuova tecnica, quella del filo elicoidale
che, mosso da un motore, permetteva di
segare il marmo
direttamente dal monte.
Una volta individuato il blocco da
staccare e liberatolo sia da un lato che nella parte superiore dal
materiale di scarso valore con cariche di dinamite, si inserivano
nei canali così formatisi dei montanti che portavano le pulegge per
il rinvio del filo.
Il filo elicoidale aveva il diametro di
5 mm circa ed era formato dall'avvolgimento a forma elicoidale di
tre piccoli cavi d'acciaio (legnoli) con la caratteristica di
cambiare senso di avvitamento ogni 50 m, in modo che il taglio del
marmo avvenisse dritto. Tale filo aveva una lunghezza di circa 1.000
m, passava sul marmo da tagliare e con una miscela abrasiva di acqua
e sabbia silicea tagliava il marmo. Non era però il filo a tagliare
la roccia, la sua funzione era solo quella di trasportare nel solco
elicoidale la miscela di acqua e sabbia silicea: era quest'ultima
che strusciando sulla superficie del marmo ne corrodeva minutissime
particelle.
Anche la
riquadratura del blocco veniva
fatta con il filo elicoidale.
La sistemazione di tale filo (la
stesa) richiedeva però tempo, operai altamente specializzati (i
filisti) e grandi quantità di sabbia silicea che dovevano essere
trasportate fin sulle cave dal lago di Massaciucoli, vicino a
Viareggio, da dove veniva estratta.
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